COME avevamo ipotizzato nell’ultimo nostro articolo, Biden è stato costretto a ricucire con Macron e con l’Eu- ropa. Al primo, che aveva umiliato con l’affare dei som- mergibili nucleari, ha dovuto promettere, e si tratta di un notevole e costoso impegno, il coinvolgimento anche economico degli Usa nella lotta che il governo francese sta conducendo nel Sahel contro gli estremisti islamici. All’Europa ha contestualmente e premurosamente offerto la sua presenza, sia a Roma sia a Glasgow. E anche qui non si tratta di cosa da poco dopo le mortificazioni inferte agli alleati con il precipitoso abbandono dell’Afghani- stan.

L’Europa non è più ora al centro della situazione geo- politica e non è più sulla frontiera più importante per gli interessi statunitensi. Perché è chiaro a tutti che il futuro del mondo si gioca sul Pacifico ove gli Stati Uniti stanno tentando di contenere la Cina «imperiale» che ormai ha mostrato il suo vero volto e le cui intenzioni sono inne- gabili dopo ciò che ha fatto a Hong Kong e minaccia di fare a Taiwan.

Tutto questo è sotto i nostri occhi da qualche mese. Tant’è che, malgrado la sua prudenza, Draghi ha usato parole forti e ha smentito seccamente Stolteberg che, per dovere d’ufficio, aveva detto che tutto ciò che cresce al di fuori della Nato, anche se è in sé una cosa buona, in- debolisce la Nato e perciò l’intero Occidente.

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